Maria Rachele Fichera - Dina Viglianisi

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Maria Rachele Fichera

Non è casuale in Dina Viglianisi la scelta delle parole che accompagnano le singole opere o un’intera mostra. Queste dovrebbero essere un tramite con chi guarda e non una formalità dettata da una tradizione di cui non si ricorda più il significato. «Silenzi», parola breve e severa, invita e respinge allo stesso tempo. Invita a disfarsi degli ipertoni visivi che ottundono la sensibilità, ritrovandosi capaci di percepire anche i suoni più rarefatti dell’Arte. Respinge ogni tentazione di contrabbandare il mistero come la facile scorciatoia per la pigrizia mentale.
Conosciamo bene Dina e i suoi dubbi. Abbiamo imparato in tanti anni a navigare nei suoi quadri lasciandoci trasportare da una corrente di pensieri che possono di volta in volta essere nostri, suoi o di tutti, ma liberi abbastanza di ritrovarsi puntualmente confermati nel colloquio con l’Artista che discretamente invita ad incontrarla nella sua stanza interiore, con una finestra sempre aperta. E «silenzi» sono veri e propri paesaggi, dei quali il più elementare e la superficie vuota, quel luogo vertiginoso davanti al quale lo spettatore resta muto se un informale glielo propone, e l’artista col pennello sospeso per un tempo infinito. Ma è poi necessario che questo pennello si posi? Nelle parole di Marisa Scopello, che firma la recensione su “Bianco e nero”, una traduzione delle impressioni visive tenta una risposta, mai definitiva come lei ammette: “…predilige l’uso dello sfumato, la tavolozza cromatica che vira nei mezzi toni, frutto della reinvenzione di nuances liquide e diafane, la stesura lenta, lavorata, l’ampia sintassi dei pennellate infinite; tutto questo ci fa intendere la complessa gestazione delle tele come una presa di coscienza, un percorso individuale alla ricerca di risposte mai appaganti e conclusive. É la stessa cifra che ritroviamo nelle sue incisioni, lo stesso percorso di approfondimento. Anche in questo caso le evanescenze figurative dominano lo spazio atemporale, come forme di sabbia che si sgretolano per l’azione del vento”.
Un vento leggero o sferzante, mai stanco, corre per le tele. Sembra uno spirito guida presente lungo tutto il cammino di un lavoro pittorico e filosofico che coincide con la vita, distaccato dalla maniera contemporanea dell’arida programmazione.
Libero dal condizionamento del maniacale interrogativo storicistico, tenuto per mano da questo spirito l’Artista vola.

Catania, La Sicilia, Marzo 1999
 
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