Luisa Adorno - Dina Viglianisi

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Luisa Adorno

Sfilavo lungo le pareti, fra la folla dell'inaugurazione del Museo della Grafica a Naro, interessata piu` alla bellezza dell'ambiente, al buon gusto della sistemazione che alle opere esposte. In realtà` le avevo gia` viste, presente com'ero stata alla donazione delle stesse da parte di Bruno Caruso nel suo studio di Roma.
A un tratto, in una sorta di rientranza, come lo sguancio di una finestra, mi colpi` un piccolo tavolo da laboratorio con matite e arnesi da litografo, una pietra gia` disegnata e, accanto, l'immagine che ne era stata tratta. Tutto, pietra e stampa, cosi` delicato, cosi` soffuso di amore e di bravura, che mi sembro` di scoprire per la prima volta le vere possibilita` della litografia.
E nonostante la mia passione quasi esclusiva per l'acquaforte, per l'incisione pura, senza colore, nonostante alcune lito di autori importanti che mi trovo a possedere pi\ per caso che per scelta, davanti a questa esposizione, quasi pudica, di come nasce una piccola opera di poesia, fui colta da quell'"inconsulto desiderio di possesso" di cui parla Sciascia e che a lui mi accomuna.
In Dina Viglianisi, una figura contenuta, raccolta, in qualche modo fisicamente legata alla delicatezza del suo segno, individuo l'autrice e scopro che abita in un paese sulle pendici dell'Etna, proprio vicino alla nostra casa di campagna.
Eccomi quindi, [presto, nel suo studio, con l'emozione che mi da` sempre entrare nell'ambiente di lavoro di un artista.
Tappezzano le pareti grandi quadri dai miti, raffinati colori, gli stessi delle bellissime lito che sfogliamo insieme. Non chiedo ancora i prezzi: sono grandi e io cerco quella del museo che ricordo piccola…o forse aveva soltanto meno bianco intorno… Lei insiste per farmene accettare alcune.
"Non potro` esporle, mi schermisco e "ma perche` voi artisti tendete tutti al grande?!" lamento, "per me la misura giusta e` quella usata da Rembrandt, per una lito posso ammettere qualcosa di piu`…
E poi" concludo, "chi le colleziona non ha posto e non le puo` godere!".
"A volte uno ha bisogno di misurarsi con lo spazio" spiega lei, quasi volesse giustificarsi.
"Eppure il piccolo puo` contenere il grande" insisto, e porto a esempio (a quanti artisti l'ho raccontato?!) la riproduzione della "Visione di Ezechiele" di Raffaello, che occupava un'intera pagina del libro di Storia dell'Arte al liceo, in cui un ippogrifo (come tale lo ricordo) vola in un vasto cielo biondo-rosato.  "Ne immaginavo l'originale grande almeno quanto una Stanza Vaticana, me lo trovai invece di fronte, a Roma,  nella vecchia Galleria Borghese, di poco, dico di poco, piu` grande della riproduzione!". "E` vero, anche il mio maestro raccomanda di tenersi al piccolo" confessa, pensosa.
Il suo maestro, quel Ceci di Urbino cosi` bravo, cosi` schivo, di cui parla con tanta devota ammirazione, che ogni anno va a trovare in affettuoso omaggio e nel cui solco continua a procedere, esprimendo il proprio personale, vivo talento.
Cara Dina Viglianisi, che trai la tua arte da un mondo sofferto, intenso, sono davvero contenta di averti incontrata.

Roma, estate 2000                                                                
 
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