Giuliano Serafini - Dina Viglianisi

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Giuliano Serafini

Se ci si addentra nella lettura delle sue opere, non è sempre agevole coglierne la genesi: non sai se appartengono alla sfera del sogno o della realtà.
Il limite è indefinibile, la separazione pressochè improponibile. L’uno travasa nell’altra, insensibilmente e senza che si elidano a vicenda.
Non so se la Viglianisi sogni le sue opere prima di attuarle o se tramuti in forme oniriche la percezione della realtà, da cui tuttavia attinge. Ma vi è una costante che emerge e sovrasta ogni suggestione formale: una nota dolente ed appassionata, di un tono elegiaco, che investe e satura persone e cose…
Stento però a ritrovarvi la “quiete interiore” di un tempo.
Nella pittura di Dina Viglianisi, da sempre, il fattore luminoso va oltre la pura sfera del percettivo, quello che chiameremo il dominio del retinico.
L’obnubilante chiarore che dilaga sulla tela fino quasi ad azzerare l’immagine, dice piuttosto della volontà di portare a livello di pensiero - livello che è anche psichico e sentimentale - un dato orizzonte paesistico e umano.
L’artista vuole in definitiva promuovere a valore emblematico il suo vissuto, rileggendolo tra esistenza e trascendenza.
L’abbassamento dello specifico visivo e la raffinata scansione dei registri tonali indicano la prima fase del progetto: la Viglianisi definisce la scena, la temperatura emotiva, badando che tutto sia sintonizzato in diminuendo. L’impianto è sintetico, organizzato in larghe superfici uniformi che attraversano la tela suggerendo un andamento compositivo orizzontale. Lo sguardo vi scivola sopra, come su una sindone incotaminata: è evidente che l’artista “sottrae” per accentuare la qualità subliminale del racconto, per intensificarne la sottile malinconia, l’immemorabile silenzio.
C’è poi un momento che vede agire l’immagine, o quanto di essa ci è restituito, che ci introduce nel vivo del discorso poetico: la figura umana, anch’essa definita nel suo contorno più sommario, è chiaramente il pretesto iconico per sottolineare la profonda omogeneità di questo universo. Tra essa e il paesaggio non si avvertono scarti, anzi, si potrebbe parlare di assorbimento reciproco, perfino di osmosi.
Ed è qui, su questa ritrovata similitudine di categorie diverse del reale, che si insinua l’ipotesi di una loro segreta specularità come se un disegno superiore guidasse l’ordine visibile.
Siamo chiaramente a un passo dall’astrazione, e la Viglianisi ne è ben cosciente.
Ma se la svolta dovesse verificarsi, sarà ancora per “necessità”, per adeguatamento spontaneo dell’opera a quel disegno.

novembre 1989     
 
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