Gino Cannici - Dina Viglianisi

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Gino Cannici

Se ci si addentra nella lettura delle sue opere, non è sempre agevole coglierne la genesi: non sai se appartengono alla sfera del sogno o della realtà.
Il limite è indefinibile, la separazione pressochè improponibile. L’uno travasa nell’altra, insensibilmente e senza che si elidano a vicenda.
Non so se la Viglianisi sogni le sue opere prima di attuarle o se tramuti in forme oniriche la percezione della realtà, da cui tuttavia attinge. Ma vi è una costante che emerge e sovrasta ogni suggestione formale: una nota dolente ed appassionata, di un tono elegiaco, che investe e satura persone e cose…
Stento però a ritrovarvi la “quiete interiore” di un tempo.
É solo apparente, ormai l’artista sembra celare una concitazione, un tormento segreto e sfuggente, insopprimibile.
Queste opere con la loro tavolozza discreta, mai eclatante, come note in sordina, hanno qualcosa che turba ed affascina in una maniera suadente.
Il colore è di straordinaria purezza e luminosità, con stesure perlacee modulate su variazioni molteplici di toni sommessi. Le figure sono evocate più che descritte, rasentano l’astrazione.
Passato e presente interagiscono nel reale e l’artista ne fa oggetto delle sue creazioni. Il vissuto certo e l’avvenire ignoto si fondono in un nostalgico abbandono senza certezze, con tanti interrogativi drammatici e tante denunce taciute che lei cerca di svelare con i mezzi suoi: il colore ed il segno. Perchè Dina Viglianisi non intende celare tante “arbitrarie e spietate verità”.
Una concezione creativa fortemente interiorizzata la sua, espressa con una partecipazione totale. Una visione figurativa in cui la realtà non è urlata, ma quasi avvolta da una sorta di trepido silenzio metafisico ed espressa con un linguaggio casto e poetico, di una forza evocatica struggente.

Aprile 1987       
 
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