Carlo Laurenzi - Dina Viglianisi

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Carlo Laurenzi

Benchè io nutra un’ammirazione personale per Dina Vaglianisi, e le debba un’obbiettiva gratitudine, non la conosco di persona: alcune lettere sono state scambiate fra noi; una volta mi è giunta per telefono la vigile, armoniosa dolcezza della sua voce. Ho cercato di immaginarla nello studio dove lavora: “Un antico appartamento in via S. Giuliano, vecchi tavoli, il torchio calcografico, qualche scaffale, una scala ripidissima che si arrampica fino alla soffitta dal pavimento in legno. Minuta, l’artista vuol essere ciò che è, e mostra la sua storia interiore senza incertezze”; quando ho letto questo “incontro” in un giornale catanese, ho capito che la mia immaginazione vedeva giusto.
Sul palpito e sul rigore dell’arte di Dina Vaglianisi gli “addetti ai lavori” della cui categoria non faccio decisamente parte, si esprimono con giudizi lusinghieri, talora (per me) non chiarissimi. Se invece è Dina Viglianisi che parla di sè, magari ripetendo BolaKövi (“La mia storia è umana, e tutta la sua umanità ha bisogno di tutti gli spazi di tutti i luoghi di tutta la terra”), allora il mio approccio a lei si fa puntuale: direi che ci intendiamo attraverso folgorazioni, ovviamente più abbacinanti, ma anche più esatte, delle parole.
É straordinario come un’ambigua figura di donna - Matilde, protagonista di un mio racconto che Fortunato Grosso pubblicò in un’edizione preziosa - sia levitata nelle illustrazioni di Dina, assumendo tinte di mistero e di grazia: Matilde evade dalla sua realtà (e dalla mia) per empire di sè, col fascino del silenzio, i luoghi che, suggeriti appena nel racconto, crescono e si trasformano nell’arte di Dina col rigoglio e l’arbitrio apparente delle visioni. Preferisco scrivere visioni piuttosto che sogni; Dina ha una maniera tutta sua - conturbante e tranquilla - di manifestarsi visionaria; io mi perdo nelle sue interpretazioni di Matilde come in una foresta di simboli, dove gli alberi, i panneggi, i fiori creino un’irrealtà che ci eluda e ci colmi. Questa irrealtà è la poesia, la “mia” Matilde non appartiene alla poesia, ma può suggerirla: ecco una constatazione che mi ha dato e continua a darmi fierezza.
La Matilde di Dina Viglianisi non ha volto, il che suggerisce un’infinità di volti: in tal modo l’immagine si fa sortilegio, atmosfera.

Roma, ottobre 1985
 
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